ALZARE LA MANO:

quando la competitività non è riconosciuta

dicembre 2010

Non dare per scontato

Uno dei comportamenti tipici che apprendono gli alunni di ogni paese, sotto ogni latitudine, sin dal momento in cui entrano a far parte di quella istituzione che chiamiamo scuola, è alzare la mano. Alzare le mani per rispondere prontamente alle domande che vengono formulate dagli insegnanti: “Chi mi sa dire la capitale dell’Italia?”. “Chi di voi può spiegarmi la nozione di vettore?” “Chi sa illustrare cosa intendeva Hegel con Spirito Assoluto?” E via di questo passo... Alzare la mano è uno dei tanti comportamenti apparentemente innocui che si verificano in una classe e che vengono accettati, perseguiti, incoraggiati senza però aver ben chiaro il fatto che, in ogni modo, stiamo adoperando un metodo didattico il quale ha certi effetti piuttosto che altri. Alzare la mano in genere è ritenuto un comportamento democratico ed efficace, poiché darebbe a tutti la possibilità di partecipare e, nel contempo, fornirebbe al docente un sicuro feedback circa la lezione impartita. Tuttavia come è noto “la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”. Alcuni studi come quello di Kohn (1991) e ricerche svolte da Mc Gregor (2007) vanno nella direzione di vedere tutti i limiti di questa pratica.

Considerando e sviluppando questi contributi, argomenteremo che la pratica alzare la mano:

ü sposta l’attenzione su elementi emotivi impropri

ü attiva la competitività sviluppando comportamenti individualistici

ü genera un clima di confusione che mina l’apprendimento efficace

ü alimenta e sostiene un apprendimento standardizzato

Sposta l’attenzione su elementi emotivi impropri

L’alzare le mani corrisponde a molteplici bisogni che non sempre hanno a che fare con la volontà di dare la risposta giusta alla domanda. Uno di questi attiene alla ricerca, a volte spasmodica, di approvazione: si alza la mano semplicemente per il bisogno di catturare l’attenzione. Può essere questo uno dei pochi momenti a disposizione in cui finalmente si riesce ad avere udienza e riconoscimento pubblico della propria persona, da parte di colui, il docente, che possiede quel potere di dispensare affetto, gratificazione e, non ultimo per importanza, di assegnare voti, valutazioni e giudizi. Il docente è il leader, colui che conta, che ha in mano le leve del potere scolastico, da lui dipende la sorte (scolastica naturalmente) di ciascuna studentessa e ciascun studente.

Questa tensione e frenesia può accadere tanto in un gruppo di bambini della scuola dell’infanzia, in prima elementare, come in quinta superiore. Il volersi far accettare dai grandi è un bisogno connaturato alle nuove generazioni. E’ una necessità antropologicamente definita che qualifica la condizione di chi ancora non possiede la maturità, le caratteristiche stabili dell’adultità. Jull sottolinea questo aspetto dicendo che esso genera una dimensione di responsabilità affettiva, una vera e propria dipendenza, per cui i bambini e i ragazzi sono tesi a cercare di soddisfare le richieste degli adulti al di là del loro contenuto (Jull, 1994). Gli esiti di questa dinamica psico –

affettiva sollevata dal comportamento alzare la mano, sono diversi. Il volersi far accettare dai grandi è un bisogno connaturato alle nuove generazioni. E’ una necessità antropologicamente definita che qualifica la condizione di chi ancora non possiede la maturità, le caratteristiche stabili dell’adultità. Jull sottolinea questo aspetto dicendo che esso genera una dimensione di responsabilità affettiva, una vera e propria dipendenza, per cui i bambini e i ragazzi sono tesi a cercare di soddisfare le richieste degli adulti al di là del loro contenuto (Jull, 1994). Gli esiti di questa dinamica psico – affettiva sollevata dal comportamento alzare la mano, sono diversi. e di aver ottenuto in premio l’attenzione, gli ha gli ha giocato un brutto scherzo, creandogli uno stato di confusione così da non permettergli di rinvenire nella propria mappa cognitiva la risposta corretta. Matteo si sente appagato. ma solo per un attimo, subito dopo ricade nell’ansia poiché non riesce a soddisfare come vorrebbe la richiesta del docente.

Nel frattempo l’insegnante con molta delicatezza, sottolinea che in fondo la cosa non è poi così grave, e al suo posto può ben rispondere l’altra compagna, Roberta, quella che è arrivata per seconda.

In Matteo allo scoramento per l’incapacità di rispondere, si aggiunge la delusione data dalla perdita di quel bene cui anelava, ovvero l’attenzione e l’approvazione, in più inizia a serpeggiare una certa repulsione per Roberta che a lui appare essere la preferita dell’insegnante...

L'intero articolo sarà disponibile pubblicato in una rivista di pedagogia.









Commenti

  1. Articolo davvero molto notevole e interessante.

    Ho notato però un problema, credo sia solo un errore di pubblicazione o di copia incolla ma rende impossibile la lettura. C'è un pezzo che viene ripetuto due volte:
    "Il volersi far accettare dai grandi [...] dinamica psico affettiva sollevata dal comportamento alzare la mano, sono diversi"

    E credo abbia sostituito un'altra parte dell'articolo.

    Dove è possibile trovare la versione completa di questo articolo?

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