Mettere insieme le diversità per recuperare: a proposito delle Nuove Tecnologie
Apocalittici o integrati?
Catastrofici o inquadrati? Angosciati o entusiasti? Quali le alternative
da scegliere? Le nuove macchine tecnologiche
e la rivoluzione del web 2.0 indicano rischi e pericoli, ma anche grandi
opportunità. Possono aiutarci in molti
compiti, sviluppare le nostre facoltà, sostenerci nel lavoro, creare più comunicazione, ma anche contribuire a
deprivare certe risorse che abbiamo, costringerci - ad esempio - in relazioni
virtuali, adattarci ad un pensiero uniforme.
"La
scrittura veniva definita disumana perché ricreava al di fuori della mente
quello che invece poteva esistere solo al suo interno, era accusata di
distruggere la memoria perché chi la usava avrebbe smesso di ricordare, avendo
sempre bisogno di risorse esterne per farlo, ed infine la scrittura sarebbe
stata inerte perché se interrogato un testo non può rispondere, mentre una
persona, all'interno di un discorso, è in grado di spiegare le sue
affermazioni".(http://flaminiatommasi.pbworks.com/w/page/10107266/Oralit%C3%A0%20e%20Scrittura%3A%20Walter%20On)
Mettere insieme
Ma come poi hanno argomentato sia Ong che McLuhan, l’uomo ha
saputo mettere insieme ciò che è
diverso, l’avvento della scrittura lungi dal portare un decadimento, ha
consentito un salto di qualità rendendo il pensiero più analitico, razionale,
meno ridondante. Lo scrivere ci fa
riflettere , ma non solo, esso oggettiva la discussione e la decisione e
permette alle società di democratizzarsi, di uscire dall’arbitrio dei sovrani
assoluti. La Magna Charta è forse
il primo grande esempio di quanto diciamo.
Da una tecnologia, ad un’altra. L’invenzione della stampa aprì
le porte alla standardizzazione. Non più
manoscritti originali redatti da quegli straordinari artigiani che erano gli
amanuensi, ma opere riprodotte in una molteplicità di copie tutte uguali. Appunto standard. Anche qui si poteva dire che l’arte dello
scrivere sarebbe venuta meno. Eppure
tutto sommato non è stato così. Con la
stampa abbiamo invece democratizzato la cultura. Comenio ha potuto immaginare, proprio con la
stampa, una scuola per tutti, dove tutti per l’appunto hanno imparato a scrivere
con la penna, come gli amanuensi. La standardizzazione ha creato le basi per il
sistema di fabbrica e per gli stati nazionali, i quali vivono, nel male ma,
ricordiamolo anche nel bene, di burocrazia.
Il punto allora è mettere insieme, non negare un elemento
a favore dell’altro, e cioè valorizzare tutto, tenere ogni aspetto compresente,
accogliere e mantenere le diversità.
Il filosofo Maurizio Ferraris ci ha spiegato che con
l’avvento del web e delle tecnologie informatiche la scrittura ha subito un
incremento vertiginoso. Ora tutti
scrivono, pubblicano, digitano. Scrivono
con la tastiera del computer, con quella semi - virtuale dei tablet, con quella
dei telefonini per gli sms. Si scrive di
più. Forse meno con la penna, ma certamente si scrive di
più. Vi sono poi altre opportunità. Per esempio scrivere un saggio prima
comportava un forte dispendio di tempo.
Si pensi solo alla ricerca di bibliografie o al reperimento di libri o
riviste. Con internet tutto è più
facile.
I pericoli
La Repubblica del 5.01.2013 riporta indagini sui pericoli.
Google potrebbe far diminuire le capacità mnemoniche; i ragazzi faticano a
scrivere perché scrivono con calligrafie illeggibili e poi sono abituati male
dalla funzione “completamento automatico”; il computer inoltre ci sollecita
verso il multitasking, ma la nostra capacità di attenzione può diminuire. Le ricerche citate da La Repubblica pongono
l’accento su l’empatia. I social
network, tipo facebook, rischiano di diminuire la capacità di relazione
empatica. Le relazioni aumentano ma la
comprensione diminuisce. Sembra che i
giovani preferiscano “L’elettronica al dito sul campanello [...]. Un gesto
impercettibile come una mano passata tra i capelli, sa dire molto di più di una
faccina sorridente su facebook” (P. G. Brera p. 21 Repubblica del
5.12.2013). Secondo Naomi Baron
professoressa di Linguistica a Washington le interruzioni costanti tipiche del
modo di lavorare nell’era digitale, rendono la nostra attenzione più
labile. Alcuni neuroscienziati di
Stanford hanno messo in evidenza che nella lettura profonda attiviamo le aree
cerebrali del movimento che presiedono ai comportamenti empatici, quelle che ci
rendono capaci di comprendere gli altri, quelle legate ai neuroni –
specchio. Diversamente da quanto accade
con la lettura rapida che magari viene interrotta continuamente.
Torna allora il dubbio: apocalittici o integrati? Andiamo verso il meglio o il peggio è dietro
l’angolo? Il punto, dicevamo, è saper mettere insieme, riconoscere i vari aspetti , tenere presenti
le varie facoltà e sfaccettature, accogliere e mantenere le diversità. E’ vero che l’automobile e l’automazione in
genere (si pensi il passaggio dalla lavare a mano al lavaggio con lavatrice / e
lavastoviglie), rischia di farci perdere le capacità di movimento, ma è anche
vero che possiamo recuperare dedicandoci di più allo sport, facendo passeggiate
o andando in palestra.
Recuperare
Il verbo cruciale è oggi forse recuperare. Recuperare,
significa rendere qualcosa nuovamente buono, utile. E’ utile ad esempio reimparare
a scuola a scrivere bene in modo esteticamente corretto e con la penna, magari
stilografica. Vogliamo dire che bisogna
far sì che le nostre capacità siano tutte attivate, nulla deve essere
tralasciato, dimenticato. Perché è nella loro armonica compresenza che noi
possiamo sentirci più umani e più legati come umani agli altri umani. Le nuove invenzioni, gli scenari strepitosi
delle invenzioni e delle tecnologie, non sono da esorcizzare, ma da inglobare
in una visione più ampia. Abbiamo
bisogno di approcci globali e non
di orientamenti unilaterali, uniformizzanti, standard.
I filoni del pensiero ecologico puntano sul recupero.
Jeremy Rifkin indica la necessità di recuperare l’attenzione alla
biosfera, a quell’ambiente naturale, quella sorta di grembo materno che avvolge
la terra, che permette la vita e la nostra vita, recuperando
comportamenti più sobri e collaborativi. Anche il nostro Carlo Petrini
sollecita una ritrovata attenzione alla terra, che è poi attenzione alla
Terra. La terra come ritorno
all’agricoltura, alla natura, alla considerazione del cibo, perché noi siamo
fatti degli alimenti di cui ci nutriamo.
Ma anche alla Terra come
casa comune, pianeta da preservare dove vivere in solidarietà e in pace, dove
una ritrovata lentezza ci restituisca ai ritmi del creato.
Si tratta dunque di contemperare la tendenza a rendere
virtuali i rapporti con le cose e le persone, con un cammino verso un nuovo
radicamento, appunto un recupero che ci consenta di essere pienamente
umani perché le nostre facoltà sono tutte attive, in azione.
La pedagogia classica e contemporanea hanno sempre indicato
questo obiettivo di crescita armonica e globale. Pestalozzi parlava della necessità di
connettere il cuore, la mano e la mente. E che dire della particolare attenzione di
Maria Montessori per quel corpo e quei sensi che la scuola tradizionale negava,
mentre ella riteneva essere fondamentali per lo sviluppo della mente e dell’intelligenza? In fondo anche Dewey sosteneva una tale
visione. D’altra parte le nove intelligenze
individuate da Gardner dicono la medesima cosa, che noi siamo composti da una
molteplicità di sfaccettature e che il bello sarebbe riuscire nella loro
contemporanea valorizzazione. Le più
vicine a noi ricerche delle neuroscienze evidenziano poi come la relazione
empatica sia attivata da speciali neuroni – specchio che sollecitano le parti
di corteccia che presiedono al movimento e che ci consentono di imitare, ovvero
di apprendere, tramite la comprensione.
Insomma la dimensione affettiva, quella senso – motoria e quella
cognitiva che si legano assieme.
Tornando alla scuola mi viene in mente quanto ho potuto
vedere in un paese come la Finlandia. Certamente non il paradiso o la ricetta
magica. Ma alcune indicazioni
significative. Vidi una scuola
elementare le cui aule erano organizzate in aree di lavoro (non la
standardizzazione delle file di banchini dietro la cattedra), c’erano le LIM,
ma anche alcuni computer (la dimensione virtuale), era disponibile uno stereo (dunque spazio
anche alla musica!), poi negli armadi trovavi materiali da toccare per imparare
le materie di studio (la mano e la mente), infine spiccava su un lato della
stanza un cucina con tanto di lavello e fornetto (il corpo e il cibo). Nelle zone di raccordo (gli atri e i corridoi)
era sistemata una biblioteca, poi c’erano un laboratorio di falegnameria, uno
di taglio e cucito e un piccolo studio musicale. Fuori trovavi un giardino attrezzato dove i
bambini sovente giocano allegramente.
Ho visto il sito ben strutturato dell’associazione Slow Food. Di lì si capisce come Carlo Petrini, il
fondatore, non disdegni il virtuale delle nuove tecnologie e del web 2.0, proponendo allo stesso tempo il
suo messaggio di recupero. Appunto questa idea di recuperare e di
mettere insieme, di non dimenticare le dimensione dell’uomo, che lo fanno
essere un essere armonico, in armonia con gli altri uomini e con la terra e la
Terra di cui fa parte.
Buongiorno
RispondiEliminaRiguardo all'interessante articolo e per trovarVi ulteriori connessioni segnalo 2 libri divulgativi (ampliamente citati sul web):
A) “Digital Kids: Come i bambini usano il computer e come potrebbero usarlo genitori e insegnanti” – Editore: ETAS, 2008, pag. 256- Susanna Mantovani, Paolo Ferri:
- opinioni sul libro su Anobii http://www.anobii.com/books/Digital_kids/9788845314261/0186f9428348277730/
- presentazione libro: http://www.slideshare.net/paoloferri/digital-kids-7-november-presentation-754233
- prefazione e introduzione http://www.scribd.com/doc/7505133/Digital-Kids-Prefazione-e-Introduzione
B) "Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello" - Raffaello Cortina Editore - Nicholas Carr
- per una breve recensione e commenti http://www.anobii.com/books/Internet_ci_rende_stupidi/9788860303776/01be70476a3eeafe4a/.